Procedimenti disciplinari

L’articolo 2106 codice civile attribuisce al datore di lavoro il potere di irrogare sanzioni disciplinari nei confronti del lavoratore inadempiente all’obbligo di diligenza e fedeltà.
Il potere così attribuito dall’ordinamento è tuttavia sottoposto, dalla stessa fonte che lo istituisce, a particolari limitazioni.
Infatti, l’inosservanza al dovere di diligenza e all’obbligo di fedeltà può essere sanzionato secondo la gravità dell’infrazione.
In sostanza il primo limite cui soggiace il potere disciplinare del datore di lavoro è rappresentato dalla proporzionalità fra condotta illecita tenuta e sanzione irrogata.
Si tratta di un limite di natura sostanziale, al quale si aggiungono, poi, i limiti di natura procedimentale fissati dall’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, cioè dallo Statuto dei lavoratori, ovvero dalla contrattazione collettiva eventualmente applicabile al rapporto concreto.
L’interpretazione giurisprudenziale, infine, ha completato il lavoro del legislatore, fissando ulteriori restrizioni al potere disciplinare riconosciuto al datore di lavoro.
Il quadro normativo ed interpretativo è ormai consolidato e consente di individuare in maniera sufficientemente certa i principi che governano la materia.
Tuttavia nella materia in esame non si possono dare certezze assolute, in quanto buona parte delle regole che la governano sono costituite da norme inderogabili a precetto generico, la cui interpretazione è rimessa al giudice ed alla valutazione che lo stesso farà di volta in volta, con riguardo ad ogni singolo caso concreto, secondo il suo personale e prudente apprezzamento.
Si pensi alla valutazione della gravità dell’infrazione, ed alla conseguente valutazione della proporzionalità fra condotta e sanzione.
Si tratta di precetti generici ai quali solo il giudice può dare un contenuto concreto.
Per il datore di lavoro che deve procedere all’applicazione di una sanzione disciplinare è difficile determinare con certezza la sanzione più adeguata, giacché, in giudizio, una diversa sensibilità del giudicante potrebbe condurre a risultati veramente inaspettati.
Ma quello della proporzionalità della sanzione alla gravità dell’infrazione è solo un aspetto della vicenda disciplinare, nella quale assumono particolare importanza anche gli aspetti procedimentali.
Nel procedimento disciplinare il rigore delle forme si traduce in garanzia per il lavoratore incolpato, proprio perciò la giurisprudenza ha presidiato in maniera molto ferma il rigore formale della legge.
Se la tutela del lavoratore incolpato rappresenta il problema che il legislatore si è posto in relazione all’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, l’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori costituisce il modello attraverso il quale si è voluto risolvere il problema, individuando specifiche fasi, che possono essere così elencate:

  • - affissione del regolamento disciplinare;
  • - contestazione dell’infrazione;
  • - termine a difesa;
  • - giustificazioni del lavoratore ovvero mancate giustificazioni;
  • - audizione difensiva se richiesta;
  • - irrogazione della sanzione ovvero accoglimento delle giustificazioni ovvero inattività del datore di lavoro;
  • - esecuzione della sanzione.

Affissione del regolamento disciplinare
L’affissione del regolamento disciplinare in luogo accessibile a tutti i lavoratori costituisce elemento costitutivo del diritto del datore a validamente contestare l’illecito ed altrettanto validamente sanzionare.
Si tratta di una forma di pubblicità vincolata il rispetto della quale condiziona l’azione disciplinare del datore di lavoro.
In altre parole il datore di lavoro non può applicare alcuna sanzione disciplinare se non ha provveduto ad affiggere in luogo accessibile a tutti il regolamento disciplinare.
Ne consegue che l’eventuale sanzione disciplinare adottata senza la preventiva pubblicazione del codice disciplinare adottato in azienda è radicalmente nulla.
Il codice disciplinare deve essere specifico e dettagliato, anche se non è necessario che preveda ogni singola possibile infrazione.
Unica eccezione alla regola della preventiva pubblicazione è data da quelle condotte che costituiscano anche reato.
In tal caso non è necessario che la contestazione sia preceduta dalla pubblicazione in quanto il fatto reato contravviene a norme di carattere penale per le quali vale la presunzione di conoscenza della norma vietata.
Inoltre, in tale ipotesi, il potere di recesso del datore di lavoro si fonda direttamente sulla legge, e più precisamente sul disposto dell’articolo 2119 codice civile e dell’articolo 3 legge n. 604 del 1966 e non su regole di altro tipo che abbisognino di essere pubblicizzate in modi diversi da quelle di pubblicizzazione delle norme legali.
E’ ormai orientamento giurisprudenziale pacifico, anche se in passato si discuteva sulla questione, quello secondo il quale, qualora la condotta del lavoratore costituisca un fatto illecito secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico, perché costituente reato o perché integrante la violazione di essenziali doveri inerenti il contratto di lavoro, non è necessario che la fattispecie vietata risulti espressamente dal codice disciplinare, risultando, invece, essenziale e risolutiva l’indicazione del comportamento vietato e la conoscibilità dello stesso da parte dei lavoratori mediante l’affissione del codice stesso solo allorquando la condotta sanzionata è costituita da un fatto la cui illiceità non è evidente in sé e deve essere dettagliata e specificata in relazione alle esigenze e alla volontà dei contraenti.

Contestazione dell’infrazione
L’obbligo di preventiva contestazione è previsto dall’articolo 7, comma 2, dello Statuto dei lavoratori e sancisce il divieto per il datore di lavoro di adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito.
La contestazione va fatta per iscritto qualora il provvedimento disciplinare da applicarsi sia più grave del rimprovero verbale.
Ai principi fissati dall’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori in materia di contestazione si aggiungono poi ulteriori principi elaborati nel tempo dalla giurisprudenza, la quale afferma che la contestazione disciplinare deve essere tempestiva, nel senso che l’addebito va contestato con immediatezza, non appena il datore di lavoro viene a conoscenza dei fatti che costituiscono la condotta illecita, da soggetto legittimato, cioè da persona titolare del diritto disciplinare, anche in via delegata, ancorché non si tratti di persona necessariamente munita di rappresentanza in senso tecnico giuridico.
La contestazione deve essere specifica e sufficientemente dettagliata, deve cioè descrivere in modo preciso i fatti materiali concretamente contestati. Per contro una contestazione generica è inidonea a garantire il diritto di difesa al lavoratore e rende nullo l’eventuale provvedimento adottato in esito al procedimento disciplinare.
Si ammette che con la lettera di contestazione, anche se ciò non è espressamente previsto dalla legge, sia possibile indicare, oltre alla doverosa, tempestiva, specifica, dettagliata descrizione del fatto addebitato, anche la sanzione correlata all’infrazione contestata, in quanto ciò consente al lavoratore di essere reso edotto delle conseguenze astrattamente previste per l’infrazione e gli permette di approntare una più efficace giustificazione del proprio comportamento.
Sicché, mentre condizione della validità del procedimento e della conseguente sanzione è l’avere preventivamente contestato il fatto, è assolutamente irrilevante prospettare, con la lettera di contestazione, la sanzione astrattamente applicabile o che è intenzione del datore di lavoro di applicare.
Con la contestazione specifica del fatto va anche contestata l’eventuale recidiva, rispetto ad altri illeciti disciplinari commessi dal lavoratore incolpato e sanzionati nel biennio precedente la nuova contestazione. Non è necessario che sia espressamente usato il termine recidiva è sufficiente che siano indicati i precedenti disciplinari che la integrano.
I fatti non espressamente e previamente contestati, anche se sono fatti concorrenti, sono irrilevanti ai fini dell’applicazione della sanzione, anche se si ammette che l’addebito, ben individuato come fatto storico, possa, ai fini dell’esatta valutazione della gravità dell’infrazione, essere vagliato con riferimento al contesto delle circostanze temporali ed ambientali.
La comunicazione dell’atto scritto della contestazione non richiede, secondo la previsione legislativa, particolari modalità per la consegna o l’invio al lavoratore, può essere eseguita anche da un incaricato del datore di lavoro e provata per testi; tuttavia, se il contratto collettivo eventualmente applicato in azienda richiede una forma particolare, quali la spedizione a mezzo raccomandata o la consegna comunque documentata da firma apposta dal ricevente, il rispetto della modalità contrattualmente imposta è necessario a pena di nullità.

Termine a difesa
L’articolo 7 della legge n. 300/1970 fissa a favore del lavoratore incolpato un termine a difesa, nel senso che il provvedimento disciplinare più grave del rimprovero verbale non può essere adottato prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.
La contrattazione collettiva può fissare anche un termine a difesa più lungo rispetto a quello previsto dalla legge; in tal caso deve trovare applicazione il termine di maggior durata, la violazione del quale implica la nullità della sanzione eventualmente comminata.
Pendente il termine a difesa il datore di lavoro può disporre la sospensione cautelare del lavoratore subordinato, la quale non ha natura sanzionatoria, ma configura una misura provvisoria destinata ad essere travolta dall’esaurimento del procedimento disciplinare e non priva il dipendente della retribuzione se non espressamente previsto dalla legge o dal contratto.

Giustificazioni del lavoratore ovvero mancate giustificazioni
La funzione del termine è quella di consentire al lavoratore le sue difese, offrendo le sue giustificazioni sia per iscritto, sia verbalmente in sede di audizione difensiva.

Audizione difensiva se richiesta
La norma del secondo comma dell’articolo 7 della legge n. 300/1970, secondo cui il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza averlo sentito a sua difesa, previa contestazione dell’addebito, deve essere interpretata nel senso che, ove il lavoratore ne faccia espressa richiesta, il datore di lavoro è tenuto a sentire oralmente il lavoratore.
In difetto di tale richiesta, non esiste alcun onere del datore di lavoro di invitare il lavoratore a discolparsi oralmente, essendo quest’ultimo libero di esercitare il suo diritto di difesa nella più completa libertà di forme e, quindi, anche per iscritto o mediante l’assistenza di un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o da mandato, anche se si tratta di associazione sindacale che non ha costituito una rappresentanza nell’unità produttiva in cui il dipendente presta la sua opera.
E’ ammesso il cumulo di giustificazioni scritte ed orali, nel senso che il lavoratore, nel fornire le proprie giustificazioni scritte può chiedere anche di essere sentito oralmente a difesa, con il conseguente obbligo del datore di lavoro di esaudire tale richiesta prima di adottare il provvedimento disciplinare. La violazione del diritto al cumulo delle difese scritte ed orali implica la nullità del provvedimento disciplinare eventualmente adottato.
Il datore di lavoro può delegare anche a soggetti esterni all’impresa la ricezione delle giustificazioni del lavoratore, pertanto l’audizione difensiva può essere legittimamente operata dall’organizzazione sindacale datoriale cui aderisce l’imprenditore.
Lo stato di malattia del lavoratore non costituisce causa di sospensione del decorso del termine di cinque giorni dalla contestazione per la presentazione delle giustificazioni.
Decorso il termine di cinque giorni o, quello diverso e maggiore previsto dal contratto collettivo eventualmente applicato in azienda, il datore di lavoro può comminare la sanzione disciplinare.
Nel procedimento disciplinare le difese scritte o la richiesta di audizione difensiva anche assistita sono atti unilaterali recettizi, sono pertanto soggetti alla disciplina degli articoli 1334 e 1335 codice civile e possono produrre effetti nel momento in cui vengono a conoscenza del datore di lavoro cui sono destinati. Il decorso di cinque giorni dalla contestazione individua il termine entro il quale le controdeduzioni devono pervenire al datore di lavoro, termine che non può ritenersi rispettato quando, pur avendo il lavoratore predisposto le sue difese prima del suo decorso, la ricezione avvenga in una data successiva.
Pervenute le giustificazioni del lavoratore, esperita se richiesta l’audizione difensiva anche assistita, ovvero mancate le giustificazioni, decorso in ogni caso il termine a difesa il datore di lavoro può compiere il passo successivo.

A questo punto il datore di lavoro può compiere tre scelte distinte:

  • - accettare le giustificazioni del lavoratore;
  • - procedere all’irrogazione della sanzione disciplinare;
  • - rimanere silente ed inattivo.

 

Con l’accettazione delle giustificazioni del lavoratore il procedimento disciplinare si conclude senza alcuna conseguenza per il lavoratore stesso. L’accettazione può essere espressamente comunicata al lavoratore, oppure può avere luogo per fatti concludenti, fra i quali rientra il comportamento del datore di lavoro che, ricevute le giustificazioni non applichi con immediatezza e tempestività alcuna sanzione. La silente inattività del datore di lavoro di fronte alle giustificazioni del lavoratore vale quale accettazione delle stesse. Del pari, nel caso in cui il lavoratore non abbia presentato alcuna giustificazione, la silente inattività del datore di lavoro di fronte al decorso del termine a difesa vale quale rinuncia ad adottare in futuro un qualche provvedimento disciplinare.

 

Irrogazione della sanzione
L’aspetto che suscita maggiori problemi è l’irrogazione della sanzione la quale deve aver luogo nel rispetto delle seguenti regole:

- tempestività ed immediatezza, nel senso che la sanzione disciplinare non può essere irrogata oltre un ragionevole termine entro il quale il datore di lavoro deve deliberare e comunque non oltre il termine eventualmente fissato dalla contrattazione collettiva o a eccessiva distanza dal momento in cui si sono verificate la contestazione e il decorso del termine a difesa;

- corrispondenza fra contestato e sanzionato, nel senso che il datore di lavoro non può sanzionare un fatto nuovo e diverso rispetto a quello originariamente contestato, anche se emerso nel corso del procedimento disciplinare;

- proporzionalità fra sanzione applicata e gravità della condotta, nel senso che la sanzione, sia essa conservativa (richiamo scritto, multa non superiore a quattro ore di retribuzione, sospensione dal servizio e dalla retribuzione per non più di dieci giorni), sia essa espulsiva (licenziamento per giusta causa, licenziamento per giustificato motivo), deve essere graduata con riferimento alla condotta tenuta in concreto dal lavoratore; non possono essere applicate sanzioni sproporzionate per gravità rispetto alla gravità dell’illecito. Generalmente il rapporto di proporzionalità è desumibile, anche se in via esemplificativa, dalle declaratorie contrattuali, che elencano le condotte illegittime punibili con questa o quella sanzione, tuttavia è sempre consentito al giudice di vagliare se, le declaratorie contrattuali, rispondono al principio di proporzionalità ed in caso negativo di disapplicarle;

- motivazione del provvedimento disciplinare, l’obbligo di motivazione, non è espressamente previsto dalla legge per quel che riguarda le sanzioni conservative, per contro, l’obbligo di motivazione delle sanzioni espulsive, cioè del licenziamento disciplinare è imposto dall’articolo 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

In tema di irrogazione della sanzione non esiste, oltre al principio di proporzionalità, un obbligo del datore di lavoro di adottare la parità di trattamento, allorché più lavoratori abbiano commesso la medesima violazione; ciò nel senso che non si può desumere l’illegittima della sanzione desumendola dalla circostanza che un determinato lavoratore sia stato punito con una sanzione più grave rispetto a quella adottata nei confronti di altri che avevano violato la medesima norma rendendosi colpevoli della medesima infrazione.

Esecuzione della sanzione
Da ultimo avrà luogo l’esecuzione della sanzione, la quale, tuttavia, può essere sospesa ad iniziativa del lavoratore che promuova, nei venti giorni successivi dal momento in cui ha ricevuto la comunicazione dell’applicazione del provvedimento disciplinare, per il tramite della Direzione Provinciale del Lavoro, a costituzione di un Collegio di conciliazione ed arbitrato, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 300/70.
L’articolo 7 non prevede alcun termine entro il quale la sanzione deliberata debba essere in concreto eseguita, anche se in tema di sanzioni conservative è invalsa la prassi di dar luogo all’esecuzione non prima che siano decorsi venti giorni dalla comunicazione del provvedimento disciplinare sanzionatorio.
Si ritiene che il lavoratore, in caso di sospensione dal lavoro, non possa pretendere di concentrare l’esecuzione della sanzione in giornate continuative.
La sanzione disciplinare ha un suo preciso effetto in ordine alla recidiva, tuttavia non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.

Pagina pubblicata\aggiornata il 11-01-2020

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