Amministratore e lavoratore dipendente: compatibilità

La figura del dipendente/amministratore presenta indubbiamente alcuni aspetti critici sebbene la nomina di un lavoratore dipendente quale amministratore di società sia sempre possibile sotto il profilo del diritto societario e giuridicamente valida, sussistono situazioni nelle quali essa genera problemi in capo al dipendente e alla società per il venire meno del vincolo di subordinazione che caratterizza il rapporto di lavoro dipendente.
In particolare i problemi sono inerenti al potenziale conflitto di interessi e alle conseguenze in termini di validità della deliberazione presa, alla posizione previdenziale del lavoratore dipendente e alla deducibilità della retribuzione per la società.
L’attenzione nella definizione delle mansioni del dipendente e nel conferimento della specifica procura legata alle sue funzioni, unita a compiti ulteriori e compatibili che questi andrà a svolgere quale amministratore, è cautela indispensabile per proteggere il dipendente/amministratore e la società da pesanti quanto inattese conseguenze.

Giova ricordare che, secondo la Corte di Cassazione (Sez. lav., 13 giugno 1996, n. 5418), «per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio d’amministrazione di una società di capitali e la società stessa è necessario che colui che intende far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e cioè l’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso, nonostante la suddetta qualità di membro del consiglio d’amministrazione». Sempre la Corte di Cassazione (25 maggio 1991, n. 5944) precisa che «la qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima, ove sia accertato in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l’assoggettamento a effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare». L’Inps, nella propria circolare 8 agosto 1989, n. 179, titolata “Accertamenti e valutazione della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato”, nella quale analizza numerose fattispecie, in merito all’argomento qui in trattazione così si esprime: «(…) diversa dalle precedenti ipotesi di amministratore è, infine, il caso di soggetto che rivesta una carica amministrativa tale da rendere evanescente la posizione di subordinazione rispetto agli altri. Questo è il caso del presidente, dell’amministratore unico e del consigliere delegato. Quando questi, infatti, esprimono da soli la volontà propria dell’Ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina, in veste di lavoratori essi verrebbero a essere subordinati di se stessi, cosa che non è giuridicamente possibile. Per essi pertanto, in linea di massima, è da escludere ogni riconoscibilità di rapporto di lavoro subordinato e della conseguente assoggettabilità agli obblighi assicurativi». L’Agenzia delle Entrate, infine, contesta la deducibilità dei redditi corrisposti al dipendente in virtù dell’art. 95, comma 1, Tuir, nei casi in cui «si pone il problema della compatibilità del ruolo di amministratore con quello di lavoratore dipendente. Infatti, benché la giurisprudenza ammetta tale possibilità, la sovrapposizione delle predette funzioni nell’ambito della stessa società deve ritenersi ammissibile solo nel caso in cui sussista un vincolo di subordinazione e l'attività svolta non rientri nel mandato di amministratore». La posizione dell’Agenzia delle Entrate trova conforto nella sentenza di Cassazione 13 novembre2006, n. 24188, che ha confermato la traccia già delineata in merito alla fattispecie del dipendente/amministratore.

 

Conseguenze per il lavoratore dipendente sotto il profilo previdenziale ed effetti sulla deducibilità fiscale per l’azienda

Nei casi quali quelli prospettati, in sostanza, l’Inps arriva a disconoscere l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e, quindi, il diritto alla percezione della pensione al lavoratore che esercitasse attività di amministratore tale da essere incompatibile con il vincolo di subordinazione (Cass. sent. 24188 del 13/11/06 ed anche Cass. sent. n. 1424 del 1/2/2012) . Il lavoratore avrà il diritto al rimborso dei contributi versati, addizionati di interessi, ma non alla percezione del trattamento pensionistico. Si tratta di una sanzione assai grave che può generare un difficile contenzioso tra l’azienda e il suo lavoratore dipendente chiamato a fare parte dell’organo amministrativo. Occorrerà pertanto che si presti particolare cautela nel caso di lavoratori dipendenti chiamati a fare parte degli organi amministrativi. In merito a tali lavoratori dipendenti, si rileva come, nella maggior parte dei casi, essi vengono inquadrati quali dirigenti della società, poiché sarebbe imprudente un inquadramento inferiore, incompatibile con lo svolgimento di funzioni apicali quali quelle dell’amministratore della società. Un aspetto non trascurabile, emerso dalla trattazione in apertura riguarda, poi, la deducibilità dei costi sostenuti per il contratto di lavoro dipendente che dovesse essere messo in discussione a causa della carenza del vincolo di subordinazione, che è il vero punto cruciale della compatibilità degli incarichi di amministratore con il contratto di lavoratore dipendente. Si tratta di un danno economico potenzialmente molto consistente per l’azienda stessa, e pertanto anche in virtù di tale potenziale danno sarà indispensabile che venga usata molta accortezza nelle nomine in questione, al fine di evitare le conseguenze di un accertamento siffatto. È opportuno, a questo punto, proporre nella tabella riportata nelle due pagine successive una sintesi delle conseguenze della nomina di un dipendente ad amministratore, per come sono emerse dalle sentenze di Cassazione e dalle prese di posizione di Inps e Agenzia delle Entrate.

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